IMMAGINIAMO INSIEME IL FUTURO

di Nicola Lagioia

Il direttore del Salone del Libro di Torino presenta il Bosco degli Scrittori, un progetto realizzato insieme ad Aboca Edizioni. Sarà uno spazio naturale, con alberi veri e autentico impegno a porre le domande giuste. E a capire il cambiamento prossimo venturo. “La nuova epoca in cui ci stiamo addentrando richiede umiltà”. 

Per la prossima edizione del Salone del Libro di Torino, al Lingotto, ci sarà il Bosco degli Scrittori. È un progetto realizzato insieme ad Aboca, uno spazio naturale con veri alberi a medio e alto fusto, che riproduce un piccolo bosco. A popolarlo ci saranno scrittori e scienziati, filosofi e artisti, donne e uomini particolarmente sensibili ai temi della sostenibilità, della biodiversità, del climate change.

Come abbiamo imparato leggendo da più parti, vivremmo ormai nell’antropocene, la prima età geologica in cui i principali cambiamenti climatici e territoriali sul pianeta sono dovuti all’opera dell’uomo. Proprio l’epoca in cui il futuro della Terra sarebbe in mano nostra è un’epoca dal futuro quanto mai incerto. Anzi, diciamola tutta: immaginare un futuro in termini che non siano distopici sembra difficilissimo. Per alcuni scienziati e intellettuali il punto di non ritorno sarebbe stato superato, il che non significa dover ragionare per forza in termini apocalittici (l’apocalisse rischia di diventare un genere di consumo) ma prepararci a grossi cambiamenti, alcuni dei quali potenzialmente traumatici. Nel frattempo ci stiamo educando a un modo nuovo di percepire il mondo. Ci abituiamo per esempio, seppure con fatica, a guardare la realtà in modo controintuitivo: il bel tepore che ci conforta in queste giornate invernali potrebbe essere ambasciatore di una notizia spaventosa. Soprattutto chi vive in città – sempre più gente, sul pianeta, si concentra nelle grandi conurbazioni, specie in Europa, il continente più antropizzato di tutti – sa del cambiamento ma non lo vive, ne legge in giro ma non lo sente, è costretto, come dire, a credere senza vedere né toccare. Non è facile rendersi conto di quello che sta succedendo, serve un grande sforzo di immaginazione che superi i limiti del nostro sistema percettivo.

Parte del bene che l’uomo ha fatto durante la sua breve storia è stato tuttavia anche il frutto di uno sforzo d’astrazione. Il cambiamento prossimo venturo ci costringe così non solo a un salto logico, e non solo ci obbliga a tenere una condotta più responsabile, ma richiede un grande esercizio di consapevolezza. È questo, credo, uno degli aspetti più affascinanti di tutta la faccenda. La modernità è cominciata con l’antropocentrismo ed è finita con la tragedia di due guerre mondiali. La nuova epoca in cui ci stiamo addentrando richiede umiltà e un nuovo amor di sé: pretendere di stare al centro della scena può esaltare per qualche secolo, poi porta solo a coltivare sofferenza e un numero imprecisato di psicopatologie. Sarebbe necessario allora smettere di coltivare la propria arroganza di specie e cominciare a riconoscere che siamo collegati inevitabilmente gli uni agli altri, specie con specie, regno con regno. Non c’è niente di lineare in questi percorsi, niente di semplice, niente che non si porti dietro un carico di contraddizioni, di imprevisto, perfino di mistero. Non ci servono risposte inevitabilmente sbagliate. È necessario che vengano sollevate tutte le domande giuste, quelle che mettono in gioco o in crisi innanzitutto chi le pone. Domande che, si spera, riecheggeranno in tutta la loro complessità e vertiginosità nel Bosco degli Scrittori.

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